Mario Tontodonati è nato a Scafa il 29-08-1922. Si è spento a Fontecchio (L'Aquila) all'età di 86 anni.
Centravanti puro, temibilissimo in area di rigore, è stato uno dei calciatori abruzzesi che riscosse più consensi nel panorama nazionale. Iniziò l’attività agonistica in serie C, militando nella Simaz (poi chiamata Dinasimaz ) Popoli. Nel 1940-41 venne acquistato dal Pescara che, nel 1946, lo cedette al Bari dove rimase per 2 anni giocando ad altissimi livelli, così come fece, in seguito, nella Roma. Infine, dopo un anno nella Lucchese ed uno al Torino, il ritorno al Pescara. Con i biancazzurri fu anche allenatore in piu' occasioni dal 1959 al 1980.
Oggi i calciofili abruzzesi possono vantarsi di essere corregionali di calciatori di grande successo, appartenenti alla massima serie, alcuni addirittura hanno indossato la maglia azzurra della Nazionale e altri si sono affermati all’estero. Restando nella contemporaneità, diventa facile perfino coniugarne alcuni nomi (Grosso, Oddo, Di Francesco, Rossi ecc). Nei tempi andati invece, ci riferiamo agli anni ‘50, era difficile trovare nella nostra regione “prodotti” calcistici degni di essere citati sui quotidiani sportivi. In quell’epoca lontana gli abruzzesi hanno avuto un idolo indimenticabile, non solo per i suoi valori atletici, ma anche e soprattutto per la sua profonda umanità e le sue doti di “maestro” quando, appese le scarpe al chiodo, si sedette in panchina per insegnare calcio ai giovani. Stiamo parlando di Mario Tontodonati, calciatore della “Strapaesana” di Pescara, che si è spento recentemente a 85 anni. Se ne è andato alla vigilia dell’inaugurazione dei Giochi del Mediterraneo, in un momento in cui i media erano stati occupati abbondantemente dagli eventi. Per la verità, durante la sfilata degli atleti allo stadio Adriatico (dove il “biondo” Mario non ha giocato ma ha allenato) il commentatore della cerimonia ha accennato, quasi timidamente e con voce flebile, al lutto ad un pubblico che, appartenente ad un’altra generazione, certamente non ha capito. Quando nel 1942 il Pescara perse l’ultima partita a Busto Arsizio con la Pro-Patria con una formazione formata da tutti pescaresi, all’infuori del portiere, il milanese Miglio, un dirigente biancazzurro al quale rimproveravano di aver fatto perdere la squadra fallendo la serie A, rispose: «Se avessi detto a Tontodonati di buttare un pallone fuori invece di spingerlo in rete lo avrei certamente trasformato da un gentiluomo quale era ad un mostro furioso». Quando, dopo il suo esordio nella massima serie a Bari, passato alla Roma, Tontodonati (206 partite, 51 reti) divenne l’idolo degli abruzzesi, studenti, militari e lavoratori arrivati nella capitale diventarono tutti romanisti contrariamente a una ferrea regola secondo la quale tutti coloro che arrivavano sotto l’ombra del cupolone si ritrovavano “burini” laziali per via della spocchia dei tifosi giallorossi. Era poderoso di testa, lo chiamavano “la testina d’oro”, per il tiro veniva definito “l’ira di Dio”. Le tifose, con espressioni ieratiche, lo appellavano “Tondo, il bel biondo”. Va ricordato che all’attuale Stadio Flaminio, i tifosi romanisti inveivano sul centromediano laziale Malacarne con l’epiteto di “strappaerba” perché mentre marcava Tontodonati che saltava per colpire di testa a braccia alzate, gli morse un dito . «Pensate un po’ -scrisse Bruno Roghi, l’immaginifico del Corriere dello Sport - vi è stato un po’ di suspence quando vedemmo Tontodonati correre con il dito alzato sanguinante verso il difensore. Nessuna paura: voleva solo rassicurarlo che non fosse nulla di grave. Ma quanto sono tosti questi abruzzesi!». Quando nel 1953 giocò la sua ultima partita di serie A nel Torino, il quotidiano pescarese “Mattino d’Abruzzo” operò una sottoscrizione per l’ingaggio e il ritorno in biancazzurro di Tontodonati. Anche chi scrive questa nota (che non è mai stato tifoso del Pescara) mise mano al portafogli pur di rivedere giocare la “testina d’oro”. Gli spalti si riempirono, tornò il rumoroso tifo, ma dopo un triennio, anche per Tontodonati arrivò il momento di passare dal tappeto erboso alla panchina. In questo nuovo ruolo si mise in evidenza per le doti di docente di calcio e si distinse per le doti didattiche e didascaliche a favore dei giovani. Non resistette alle diatribe nelle quali tradizionalmente si sono sempre incagliati gli allenatori pescaresi e preferì scendere di categoria. A Giulianova, dove ha sede la piccola università del pallone, fu accolto con entusiasmo e fu costretto, per stima ed affetto, a fare scorpacciate di fumanti “brodetti”. Quando mi presentai nella sua tipografia (la “Tipografia Tontodonati”, appunto), dove stavo stampando una rivista nel 1960 mi disse: «Se vuoi un consiglio di ‘fubballe’ te lo do, per la carta stampata c’è qui mio cognato: Duilio Lacorata, anch’esso appartenente ad una famiglia di calciatori, ma soprattutto grande ‘proto’ ai tempi dei caratteri di piombo». Questo era Mario Tontodonati.
Riproponiamo la bella ntervista di Giovanni Tontodonati a Mario Tontodonati: Signor Mario credo sia doveroso iniziare quest’intervista parlando della sua infanzia. Dopo tutto in molti non sanno che questo paese ha dato i natali ad un grande campione. - Oh, quanti anni sono passati! Scafa era davvero un piccolo borgo allora. Abitavamo in corso I° maggio e la mia era una famiglia assai numerosa, io ero il terzo di sette figli. Ricordo con nostalgia che, di ritorno da scuola, mi affrettavo a svolgere i compiti per poter scendere in strada e dedicare l’intero pomeriggio al pallone, uno dei pochi svaghi che potevamo concederci. In uno spazio ristretto, delimitato semplicemente da un muro, ci dilettavamo a prendere a calci un pallone, se oggi è consentito definire in tal modo una sfera fatta di “pezza”. - Chi condivideva con lei questi momenti? - Citarli tutti richiederebbe davvero uno spazio notevole. Ricordo Tontodonati Lembo, Tribiani Attilio, Gialluca Rocco, De Luca Vincenzo, i fratelli Gigante e Baiocchi . Ricordo inoltre altri come Alfonso Di Gregorio (“Funzino”), Egeo, Oreste e Pantalone davvero vispi e scanzonati tant’è che, un giorno, architettarono una burla a dir poco singolare nei confronti di Angelo Dell’Orso, soprannominato “scatozzo”. Gli fecero credere che io facevo un profumo utilizzando le cicale. Angelo, con l’ingenuità di un bambino, venne a cercarmi per vendermi le cicale. Non trovandomi a casa, ne parlò con le mie sorelle che, difronte a quella proposta, non seppero trattenere le risate. Un altro piacevole ricordo legato a Scafa è quello della mia prima infatuazione per una ragazza; mi innamorai, infatti, di una certa Anna Sarti, figlia di un impiegato in una centrale elettrica di Alanno, trasferitosi poi in Campania. Purtroppo la distanza ci impedì di continuare a vederci. - Poi, a sedici anni, l’inizio dell’attività agonistica. - Sì, dopo due anni a Popoli, passai al Pescara dove conquistammo subito la promozione in serie B (campionato 1940-41, M.Tontodonati fu anche capocannoniere con 23 reti, ndr). Erano gli anni della gloriosa “strapaesana”, squadra interamente formata da calciatori di Pescara o delle zone limitrofe. Disputavamo le gare interne al mitico stadio “Rampigna”. Rimasi per 6 anni, fino al 1946, anche se nel 1943-44 il campionato fu sospeso a causa degli eventi bellici. Anch’io risposi all’obbligo di leva fortunatamente rimanendo tra Teramo e Pescara, invece, un mio compagno della strapaesana, Paludi, fu mandato in Russia dove venne dato per disperso. - Nel 1946-47 finalmente il sogno di entrare a far parte del gotha del calcio nazionale divenne realtà. - Andò proprio così. Il Bari acquistò il mio cartellino ed ebbe inizio la mia avventura nella massima serie. L’esperienza in terra pugliese durò due anni anche se fu sufficiente per conquistare l’intera piazza dalla quale ero osannato. Ma il ricordo più significativo legato a quel periodo è relativo allo splendido rapporto di amicizia che si instaurò con Tommaso Maestrelli,, un legame davvero indissolubile, per me era più di un fratello (T. Maestrelli venne ceduto con M. Tontodonati alla Roma. In seguito divenne allenatore regalando il primo scudetto della storia alla Lazio, nel campionato 1974-75. Morì qualche anno dopo a causa di un male incurabile, ndr). Ci parli del suo passaggio alla Roma. - Sono tuttora impresse nella mia mente le fasi febbrili della trattativa che si concluse in un albergo della capitale, in via Nazionale. - Anche se alcuni clubs blasonati tentarono d’interferire nell’accordo. - Si, soprattutto Inter , Milan e Torino. Ricordo che in un Bari-Torino il grande Valentino Mazzola mi disse: “Ma cosa fai qui? Vieni su da noi!”. A Roma il mio rendimento continuò ad essere ottimo ma la squadra non era molto competitiva (M.Tontodonati si guadagnò a suon di gol l’appellativo di “testina d’oro”, coniato dai giornalisti dell’epoca, ndr). Non potrò mai dimenticare l’inimitabile calore dei sostenitori giallorossi. - Successivamente, un anno a Lucca e uno a Torino prima del ritorno al Pescara. - Dopo un lungo corteggiamento il presidente Novo mi portò al Torino. Non erano passati molti anni dalla tragedia di Superga (il Grande Torino fu una squadra leggendaria che vinse, dal 1942 al 1949 ben 5 campionati. Di ritorno da una trasferta l’aereo con a bordo i calciatori si schiantò sulla Basilica di Superga, non ci furono superstiti ed ebbe inizio il mito, ndr), si viveva ancora in un’atmosfera surreale. Ricordo che da quel giorno il presidente non entrò più negli spogliatoi, non sopportava l’idea di non poter rivedere i volti di quei campioni, vittime di una tragica sciagura. Nel 1953-54 tornai a Pescara e dopo qualche anno abbandonai l’attività agonistica continuando tuttavia a collaborare fino al 1981 con il sodalizio biancoazzurro. - Quale fu la rete più bella della sua carriera? - Beh, se devo indicarne una dico quella di un Roma-Milan 1-0 di tanti anni fa. Era il Milan del mitico GRE-NO-LI (stellare trio svedese degli anni ’50, formato da Gren, Liedholm e Nordhal; quest’ultimo è tuttora il miglior bomber rossonero in assoluto in serie A con 210 reti, ndr) e noi, ovviamente, partivamo sfavoriti. Raccolsi un lungo rilancio del nostro portiere, mi liberai del mio diretto marcatore e calciai un destro violentissimo dai 25 metri che s’insaccò all’incrocio dei pali, ci fu un tripudio.< - E se dovesse indicare il numero uno nella storia del calcio? - Non credo si possa affermare con assoluta certezza. Però dico Maratona per la sua imprevedibilità, per il suo estro, per la sua capacità di risolvere le gare da solo. Credo che il gol più bello della storia sia stato quello messo a segno dal “pibe de oro” contro l’Inghilterra (Mondiali in Messico, 1986, Argentina-Inghilterra 2-0). - Quali sono le maggiori differenze tra il calcio moderno e quello dei suoi tempi? - La caratteristica peculiare del calcio moderno è la rapidità, oggi si gioca su ritmi forsennati, si cura di più la preparazione fisica e la qualità magari ne risente; tuttavia in circolazione ci sono degli ottimi calciatori. Sono un grande estimatore di Roberto Baggio. - E la sua squadra del cuore? - A parte quelle con cui ho giocato mi piace la Juventus perché sta sempre ai vertici anche se ho da sempre subito il fascino del Grande Torino, al pari di molti sportivi italiani. Per chiudere, molti scafesi, specie i più anziani non hanno dimenticato Mario Tontodonati. -Tutto ciò non può che inorgoglirmi. Ringrazio tutti, da molto tempo speravo che qualcuno si ricordasse di me.
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