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Speciale - Giovanni Galeone - Guerin Sportivo nr.46 1991
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dal GUERIN SPORTIVO, a. LXXIX, n.46, 13-19/11/1991
E io chiamo Berlusconi
di MATTEO DALLA VITE
 
Il ciuffo irrequieto ridimensionato da un barbiere impietoso, la consueta sigaretta tra le labbra, ma dietro un sorriso vivo e accogliente, qualcosa di nuovo, di diverso. Galeone e una città che lo adora. Galeone e una storia infinita di straordinaria follia. Galeone e tutto ciò che non ti aspetti. Solito bla-bla? Gia, solito bla-bla, però questa volta affiora un sentimento marcato, comunque strano e imprevedibile. Quella violenta voglia di graffiare il mondo, di azzannare il futuro di un uomo che ha sempre detestato il banale, l'ovvio, la normalità, non ha più la stessa carica travolgente. Suda, strepita, si danna come un matto per riportare Pescara ad avere quel che le spetta, ma il suo volto cela stanchezza, a stento velata, difficilmente annegabile nella battuta sempre pronta, scattante. Lui, l'ex-profeta del calcio-champagne, che con la sua zona sapientemente miscelata di genio e sregolatezza si permetteva di fare sgambetti a domicilio a Roma e Inter, adesso ha saputo riconquistare una ribalta che lo ha accantonato molto in fretta. Per la terza volta ha trattato il Pescara come un Lazzaro e l'ha fatto rivivere. Si è seduto accanto alla sua...tomba e l'ha resuscitato a modo suo, con la convinzione e la consapevolezza di chi ha ancora tanto da dire. Eppure ha meno voglia di scherzare, sembra particolarmente musone. E qui scatta il controsenso, com'è giusto che sia.
Chi è oggi Galeone?
Mentirei prima di tutto a me stesso se affermassi «quello di ieri». Diciamo che sono un tecnico al quale tanti hanno dato un'etichetta senza conoscere chi veramente fossi o cosa volessi. Sì, mi sento cambiato e non so perché.

Possibile?
Ho sempre la stessa voglia di fare, sia chiaro, però mi sento stanco, senza più quella spinta che avevo per arrivare in alto. Ora non mi frega più di niente, ho perso lo spirito combattivo di una volta. Se qualche anno fa mi sarei fatto in quattro per conquistare un posto fra i grandi, ora non muoverei un dito. E siccome vivere in Serie B a vita non mi va...

Cosa significa?
Semplicemente che fra pochissimo smetterò di allenare, anche se per ora voglio rifare grande il Pescara. E' l'unico stimolo che mi dà la voglia di restare dove sono.

Questione di pungoli, dunque...
Sì, anche se non credo di averli persi tutti. A prescindere dal fatto - e può chiederlo a chiunque - che dò l'anima per questa squadra, sono stufo di lottare. Sì, lo ammetto: sono sfibrato.

Ma se dovesse riabbracciare la serie A?
Lascerei Pescara e poi vedrei cosa fare.

In che senso?
Nel senso che aspetterei l'evolversi delle cose, tutto qui.

E se arrivasse l'Under 21?
Ecco, quella sarebbe stata l'alternativa stimolante. Quando uscì questa voce mi piacque, ma ora credo che l'organigramma sia già stato completato e che quindi posto per me non ce n'è. All'estero? Un paio d'anni fa sarei andato volentieri in Spagna, oppure in Grecia o addirittura in Francia. Ora no, non ho più lo sprone necessario. Meglio che me ne stia a casa.

Appunto, cos'è per lei Pescara: un rifugio, un paradiso o un letto di bambagia?
Chiaramente un paradiso, anche se qualcuno si affretta a dire che, nella mia testa, il resto del mondo è solo...brutto e cattivo. Pescara è un angolo di mondo dove la gente ha la mia mentalità, dove la frenesia dei miei pensieri e delle mie azioni si sposa perfettamente col loro modo di vivere. Un rifugio? Macché rifugio: non sono un vigliacco, non ho bisogno di nascondermi.

E allora, perché non ha mai, o quasi, tentato l'avventura altrove?
Il fatto di essermi trovato divinamente a Pescara non significa nulla. Quando arrivai era praticamente tutto allo sbando e il riuscire a conquistare una promozione ha portato la gente ad attaccarsi a me. Dando vita a un rapporto tutto speciale.

Si sente ancora amato?
Loro dicono di amarmi.

Perché «dicono»?
Perché credo di aver tradito un po' tutti in quel maledetto anno della retrocessione. Fu una stagione strana, dove più che altro rinnegai la mia mentalità d'assalto per abbracciare il pensiero del popolo, quello del punticino, rinunciatario per intenderci. Tradii prima di tutto me stesso e poi anche i tifosi. Ed è per questo che sono ancora qui: perché mi sento incredibilmente in debito con loro.

Curiosità: il grande calcio parla poco di Galeone. Le dà fastidio?
Non ne parla perché probabilmente lo ha scartato, ma in tutta sincerità non mi manca affatto. Quattro anni fa sì che me la sarei meritata una panchina di A: ora che ho perso l'autobus, dovrei rimettermi d'impegno un'altra volta. E non ne ho affatto voglia...

Insomma, c'erano i meriti ma non abbastanza per poter fare il salto...
Dopo il primo anno nella massima serie, ebbi contatti con Roma e Napoli. Contatti concreti. Se da una parte avrei fatto volentieri il secondo a Liedholm, e solo a lui al mondo, dall'altra mi fregò quel maledetto comunicato dei giocatori. Sembrava che Bianchi dovesse mollare da un momento all'altro, poi la società lo spalleggiò, cacciò i "golpisti" e mi disse tante grazie ma non se ne fa nulla. Così persi il mio personalissimo tram col calcio che conta.

Faccia un po' di autocritica: c'è qualcosa di sbagliato in lei?
Probabilmente sì, ma non so proprio di cosa si tratti. Non sono né invidioso, né tantomeno cattivo; mi sembra di essere una persona educatata e corretta, ma evidentemente dò fastidio. Mi hanno dipinto come un superficiale, un pressapochista o addirittura un nullafacente. Forse si sono sparse troppo queste chiacchiere, tanto da tagliarmi le gambe. E così ho perso altre coincidenze importanti...

Mancanza, forse, di sponsor adeguati?
E chi li conosce? Ma sì, probabilmente mi è mancato un appoggio solido, concreto. Ho avuto molti estimatori e li ho ancora, però non abbastanza coraggiosi per potermi lanciare. Tutto qui.

Sì, ma ammetterà che ci ha messo anche del suo. A Como, per esempio...
Proprio a Como ho commesso il più grosso errore della mia vita. Per la prima volta subentrai a campionato già iniziato e ne pagai le conseguenze. Quando penso che se me ne fossi stato tranquillo avrei sicuramente trovato una panchina di A, beh mi viene quasi da piangere...Avevo per le mani la squadra tecnicamente più forte in assoluto, eppure fu una stagione maledettamente stregata, nella quale non riuscii a legare col gruppo. Chi me lo fece fare? Non lo so ancora ma avrei dovuto immaginare che sarebbe finita così. Il lago mi ha sempre fatto paura, sin da bambino. Mentre del mare conosci la forza e ti aspetti l'impossibile, dell'acqua ferma non sai niente, è così immobile che ti angoscia. Il mio carattere è adatto per il mare: irrequieto, incostante, magari matto. E a Como trovai solo una maledetta calma piatta. Inquietante e fastidiosa.

E uno spogliatoio a pezzi...
Non c'era un leader e io non ebbi la forza di tenere unito un gruppo di ragazzi comunque fantastico. E mi franò tutto addosso, critiche comprese.

La più dura quale fu?
In generale nessuna; di solito le critiche non mi feriscono, mi lasciano solo perplesso. Cosa non sopporto? L'ignoranza, la prosopopea di certa gente, i giudizi di chi non mi conosce affatto e crede di raccontarla giusta. Come per esempio quella storia accampata da Mazzone: disse che, tramite i miei amici, feci di tutto per tornare a Pescara la scorsa stagione. Ma via, non diciamo sciocchezze. Nessuno mi ha mai dato del carbonaro...E poi lui parlava tanto di salvezza: tutte balle, sacrosante balle di chi in dodici partite aveva raggranellato dieci miseri punti. Era in perfetta media...retrocessione.

Galeone parla di Galeone: è o no un grande allenatore?
Per insegnare il calcio, la tecnica e tutto ciò che ne deriva sì, sono fra i più bravi. Per come stare bene col mondo esterno magari no: dovrei impegnarmi un po' di più.

Crede di doversi ricreare una credibilità?
Ma non scherziamo! Per una retrocessione in tutta la mia carriera? Se fossi sprofondato col Real Madrid, con la Juventus o col Torino va bene, ma col Como no...Quella di Pescara? E' tutta un'altra storia.

Il calcio per lei è ancora divertimento?
Deve esserlo, e per me lo è almeno al settantacinque per cento, perché altrimenti se ne va anche l'ultimo pungolo.

E un sorriso, invece, cosa rappresenta?
E' ormai diventata una cosa rara. Al giorno d'oggi i sorrisi sono posticci, falsi e di circostanza. Le polemiche e la battuta che graffia sono poco accettate. Agroppi? Fa bene a fare ciò che fa, anche se sdrammatizzare è diventato sempre più difficile: Io? Tranne quando mi imbatto nell'undici, numero che mi insegue in maniera incredibile, cerco sempre di allargare un sorriso. Ma solo se vero, se lo sento sul serio.

Qual è il male del nostro calcio?
Tecnicamente l'eccessiva paura degli allenatori, dettata dalla mania dei presidenti di disfarsene come fossero noccioline. L'avvento di Sacchi in Nazionale, in questo senso, ha cambiato un po' la faccenda: un tecnico venuto dal nulla e ora in cima a tutti, potrebbe infondere più coraggio agli allenatori di club. E poi non credo che i club di serie A riusciranno a essere insensibili al gioco a zona, quello della Nazionale. Ci vorrà maggiore omogeneità in tutto il campionato, anche per favorire i risultati dell'Italia.

Questo per dire che ci spera ancora?
Faccio è farò il mio lavoro come sempre, anche se il mio più grande rimpianto è il non aver potuto tastare il calcio dei big. Chissà, forse rimarrà una curiosità inappagata...

Cosa farà da grande?
Forse scriverò un libro farcito di aneddoti e magari farò una telefonata a Berlusconi...

Cosa c'entra Berlusconi?
Beh, un po' di tempo fa facemmo due chiacchiere in completa serenità e in simpatia e lui mi disse: «Quando se la sente, mi faccia una bella telefonata. Ho in mente grandi cose per lei...». Sulle prime rimasi sorpreso; ma chissà, forse potrebbe scapparci qualcosa di valido. Magari uno stimolo in più...
 

 

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